Scappa l’istogramma
Iniziato questo secondo capitolo del nostro monitoraggio civico ci siamo lambiccati il cervello per rispondere a due cruciali domande: come rendere l’unione di più dati inerenti a campi molto diversi l’uno dall’altro un report organico e come personalizzare la ricerca creando nuove informazioni partendo da contenuti precostituiti. Mentirei se dicessi che tutto è filato liscio fin dall’inizio, le difficoltà ci sono state, ma non ci siamo persi d’animo e ci siamo spesi per conseguire gli obiettivi che ci eravamo prefissati. Dato che stiamo monitorando un’area di ammassamento e ricovero per la gestione di emergenze di protezione civile, il nostro primo passo è stato condurre una ricerca sulla protezione civile in generale per determinare con dovizia di particolari le aree di competenza di quest’ente. Abbiamo poi studiato il tema del progetto presente su opencoesione e focalizzato l’attenzione sull’aspetto economico; è stata poi stilata una lista che fungesse da canovaccio per la realizzazione di grafici atti alla compilazione schematica ed esauriente del report.
Un dato fine a se stesso non può che essere muto, sono i paragoni che trasformano delle tabelle aride in uno spaccato eloquente della situazione del nostro territorio, con il giusto tocco artistico ovviamente, giacché - da che il mondo è mondo - l’occhio vuole sua parte. Terminato questo breve preambolo è giunto ormai il momento di illustrare i vari punti del nostro lavoro. Il progetto è stato finanziato grazie ai fondi FESR del ciclo 2007/2013, anche se di fatto i lavori sono terminati solo nel 2015, ragion per cui abbiamo deciso di dedicare i grafici statici alla comparazione tra i fondi summenzionati e quelli relativi al periodo compreso tra il 2014/2020. Si rileva che nel primo ciclo è stata stanziata in Italia una cifra intorno ai 30.000.000.000 di euro, circa 3.000.000.000 in più rispetto a quello più recente, mentre la Sicilia, tra le regioni, in entrambe le occasioni si è classificata seconda per il numero di soldi investiti nel proprio territorio. La protezione civile si occupa della prevenzione e mitigazione dei rischi idrogeologici, ogni comune dovrebbe avere un dipartimento di protezione civile ed un piano di intervento strutturato sulla base dei pericoli di ogni area particolare. Dai dati emersi non sembra essere così, in quanto la Sicilia avendo solo il 49% dei comuni con un piano di intervento abbassa la media nazionale che si aggira intorno a 88%. Se da un lato la nostra regione ha il 92,30% dei comuni a rischio dall’altro ha solo il 2,90% del territorio con seri problemi relativi al dissesto idrogeologico. Ciò non basta però a spiegare la carenza di piani di intervento, dato che la Provincia Autonoma di Bolzano ha il 2,20% per cento del terriorio a rischio e il 73% dei comuni con un piano di intervento. Per instradare la ricerca sul sentiero della verità e per dare più senso ai dati alquanto criptici della Sicilia abbiamo approfondito la ricerca affidandoci ad altri indicatori. Una comparazione che mostra il rischio relativo alla popolazione, alle imprese, alle famiglie e ai beni culturali mostra che in fin dei conti la situazione non è molto diversa da altre regioni che, avendo più piani, a rigor di logica dovrebbero essere meglio equipaggiate. Partendo da ciò che è stato realizzato a Licata abbiamo deciso di condurre una ricerca a livello regionale, per comprendere quanti paesi tra i 190 con un piano di intervento dispongono di un’area di ammassamento e ricovero di protezione civile. Questa fase delle ricerche è stata a dir poco traumatica, perché nessuno degli enti competenti è stato capace di fornirci questa documentazione, così abbiamo deciso di produrla da noi. Non so se ci siamo sentiti più Don Chisciotte della Mancia o l’agrimensore K del Castello di Kafka mentre cercavamo di barcamenarci a stento nella fiumana burocratica degli uffici comunali e degli svariati uffici con centralini fantasma i cui telefoni possono squillare all’infinito. Nonostante tutto hanno risposto dopo un numero non quantificabile di telefonate 141 comuni su 190; 62 di questi hanno un’area di ammassamento e ricovero, 10 comuni in quelle strutture hanno ospitato migranti e 28 le utilizzano per gestire l’emergenza sanitaria in corso. Per quanto riguarda i comuni che non ci hanno degnati di risposta speriamo vivamente che lì vada tutto bene perché di questi non abbiamo notizie. Quest’articolo è già lungo, spero vivamente di non aver annoiato i miei pazienti lettori, ma i caratteri disponibili finiscono ed è il momento di tirare le somme. Alla luce di quanto detto possiamo affermare che rimane inspiegabile il motivo per cui in Sicilia hanno un programma di intervento così pochi comuni. Detto ciò pensavamo che sarebbe stato più facile reperire dei dati e che anche i comuni più recalcitranti prima o poi avrebbero risposto ai nostri infiniti e disperati tentativi di contattarli per accedere ad informazioni di dominio pubblico.